Videogiochi & Comunicazione

Aspetti comunicativi dei videogiochi

Premessa metodologica

Nell’analizzare gli aspetti comunicativi dei videogiochi si presentano almeno tre difficoltà.
La prima difficoltà risiede nella presenza di molteplici livelli comunicativi:

  1. Un primo livello comunicativo dal game designer1 al giocatore;
  2. una forma di  auto-comunicazione psico-emotiva del giocatore con se stesso;
  3. infine vi è la comunicazione tra diversi giocatori, quest’ultima tipologia è ravvisabile in tutti quei giochi in cui è prevista la modalità multiplayer. Oggi esistono svariati modi per confrontarsi con avversari reali nei videogiochi: si può giocare in 2 o più persone utilizzando il medesimo dispositivo sia con le consolle domestiche sia in sala giochi; si può giocare in LAN (rete locale) e su Internet. Alcuni aspetti della comunicazione tra giocatori presenti nello stesso luogo sono stati indagati da Holmes e Pellegrini,2 per quanto riguarda i giochi multiplayer on-line esistono già parecchi studi.3

In questa tesi si affronterà solamente il primo livello comunicativo: dal game designer al giocatore, in quanto si ritiene interessante analizzare quali possibilità offre il videogioco come mezzo di comunicazione per diffondere messaggi e idee specifiche al crescente pubblico di giocatori.
Grazie alle possibilità offerte dai diversi canali comunicativi i videogiochi sono in grado di veicolare complessi messaggi, è interessante notare come il pubblico raggiunto da tali complessi messaggi sia sempre più vasto ed eterogeneo: un italiano su tre è un videogiocatore, di questi il 40% è costituito da donne; se nella fascia di età compresa tra i 14 e 19 anni gioca la quasi totalità degli italiani (88,3%), il videogioco ha un’ottima penetrazione anche nelle fasce 20-24 anni (73,6%), 25-34 anni (56,6%) e 35-44 anni (46,8%).4

La seconda difficoltà nell’analisi della comunicazione videoludica è legata alla molteplicità di forme che il videogioco può assumere; nella definizione di “Videogioco” rientrano infatti una moltitudine di prodotti differenti.
Ogni dispositivo elettronico che fa uso di un display può essere un veicolo per dei videogiochi, oltre ai computer si può giocare su macchine fotografiche digitali, lettori musicali, telefoni cellulari, computer palmari, terminali Internet e consolle portatili.
I videogiochi si adattano al mezzo che li contiene: sui computer da tavolo è possibile giocare con prodotti molto complessi che sfruttano l’enorme potenza di calcolo fornita dai processori, l’uso di mouse e tastiera consente inoltre un’interazione avanzata. I giochi su consolle dedicata si rivolgono a un’utenza cosiddetta da salotto, hanno il limite della bassa definizione dello schermo televisivo e il sistema di controllo è spesso un joypad con un numero limitato di tasti.
I giochi presenti su dispositivi portatili come i cellulari risentono dei limiti dei piccoli schermi e della scarsa ergonomia dei tasti.
È necessario menzionare anche le grandi novità introdotte da Internet: dai giochi web, eseguibili all’interno del programma di navigazione, ai complessi giochi multiplayer che impegnano il giocatore in lunghe sessioni di gioco on-line.
Importanti differenze sono ravvisabili anche tra i diversi generi videoludici, identificabili in base all’ambientazione e al gameplay. Per ambientazione si intende lo scenario narrativo nel quale si svolge l’azione. Le ambientazioni più diffuse sono quelle sportive o fantascientifiche, esistono poi ambientazioni fantasy, storiche, militari e anche giochi ambientati in contesti civili. Con gameplay si intende l’insieme di tutti gli aspetti concernenti la dimensione interattiva; in base al gameplay possiamo suddividere i videogiochi in simulazioni sportive, giochi di guida, sparatutto in prima o in terza persona, giochi di strategia, rompicapo, platform; attualmente sembra comunque impossibile suddividere i videogiochi seguendo una catalogazione che permetta di ricondurre ogni gioco ad una sola categoria in modo univoco.5 Nelle riviste di settore si segue solitamente la prassi di identificare i diversi generi facendo riferimento al gioco che per primo ha introdotto una particolare innovazione.
Le suddivisioni menzionate hanno una notevole importanza ai fini di questa indagine, il dispositivo utilizzato, l’ambientazione e il gameplay hanno importanti conseguenze sui significati veicolati dal gioco.
Nel primo caso l’importanza risiede nel pubblico raggiunto: un videogioco per PC o consolle raggiungerà un pubblico di hardcore gamers, ovvero un pubblico disposto a investire denaro e tempo per giocare. Sul web si raggiunge invece il più vasto pubblico dei casual gamers, formato da navigatori disposti a dedicare solo alcuni minuti all’intrattenimento videoludico, tali giochi necessitano quindi di poter essere scaricati in poco tempo e facilmente comprensibili. I giochi sul web non vanno confusi con i più complessi MMORPG, giocabili esclusivamente on-line, necessitano di un computer potente, una connessione veloce e spesso anche il pagamento di un canone mensile. La principale caratteristica dei MMORPG è la massiccia interazione tra migliaia di giocatori, l’architettura di gioco deve quindi consentire un’adeguata autonomia ai partecipanti. Gli MMORPG lasciano molto spazio alla comunicazione interpersonale tra i giocatori.
Il contesto narrativo gioca un ruolo importante nel veicolare significati: se in un videogame impersoniamo il ruolo di un combattente che deve sterminare orde di nemici, il significato sarà ben diverso se questi nemici sono degli alieni che vogliono invadere la terra, dei soldati di una nazione bellicosa o dei civili indifesi. Infine per spiegare l’importanza del gameplay si possono considerare due giochi con ambientazione militare: esistono giochi dove si impersona un singolo soldato con il quale è facile identificarsi (video 1),

America's Army (US Army, 2002)

e giochi strategici, dove dall’alto si domina l’intero esercito, i singoli soldati in tal caso diventano delle pedine da muovere o dei numeri da amministrare. (video 2)

Command & Conquer: Generals (Elettronic Arts, 2003)

Alla luce di quanto detto si può dedurre che il miglior metodo per analizzare la comunicazione videoludica sia quello di far riferimento a singoli giochi particolarmente rappresentativi del mercato o giochi di nicchia ma innovativi negli aspetti comunicativi.

Altra difficoltà nell’analisi dei videogiochi deriva dalla natura multimediale del mezzo, i videogame fanno uso di codici visivi, testuali, sonori e tattili.
Se la presenza di immagini in movimento e sonoro era già presente nel cinema e nella televisione, l’uso della dimensione tattile è una grossa novità; per mezzo del tatto è possibile manipolare le immagini presenti sul video e, grazie ad appositi joystick vibranti, è anche possibile ricevere delle sollecitazioni aumentando così il senso di realismo e di immersione.6
La comunicazione videoludica potrebbe essere quindi accostata alla comunicazione cinematografica o televisiva ma non bisogna sottovalutare l’importanza dell’interazione. I videogiocatori e i game designer sanno bene che il messaggio che giunge al giocatore è molto diverso da quello che giunge allo spettatore.
La difficoltà nel capire quale sia il giusto metodo per accostarsi al medium videoludico è ravvisabile anche guardando l’attuale panorama dei videogame studies. Facendo riferimento alla schematizzazione proposta da Cristiano Poian troviamo una forte contrapposizione tra due scuole di pensiero.7 Da una parte gli accademici che si ripropongono di studiare il videogioco con strumenti di analisi tradizionale; tra questi troviamo narratologi, semiologi, newmediologi, film theorists; tali studiosi intendono il videogioco come medium volto a raccontare storie. A questi si contrappongono coloro che mettono in primo piano l’aspetto interattivo dei giochi elettronici, tra questi ci sono i cosiddetti ludologi e i simiotici.8
Esistono poi posizioni intermedie come quella di Henry Jenkins, che definisce il videogame lively art, accostandolo a forme d’arte popolare come il cinema hollywoodiano e i fumetti.9 
In questa analisi si terrà conto degli studi effettuati e delle differenti teorie sui videogiochi utilizzando gli strumenti ritenuti di volta in volta più efficaci.

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  1. 1. Il game designer può essere considerato come l’equivalente del regista cinematografico.
  2. 2. M. Holmes e Anthony D. Pellegrini, “Children’s Social Behavior During Video Game Play” in AA.VV., Handbook of Computer Game Studies, a cura di  Joost Raessens e Jeffrey Goldstein, Cambridge, MIT Press, 2005.
  3. 3. Cfr. Edward Castronova, Synthetic Worlds: The Business and Culture of Online Games, University of Chicago Press, 2005
  4. 4. Nella fascia di età 45-54 anni il numero di giocatori scende al 27%, infine sopra i 55 anni gioca solamente l’8,1% della popolazione.
    Fonte: Primo rapporto annuale sullo stato dell' industria videoludica in Italia 2005 a cura dell’Associazione editori software videoludico italiana (AESVI). Rapporto consultabile all’indirizzo http://www.aesvi.it/cms/attach/editor/1AR_Stato_Industria_Videoludica_Italia.pdf
  5. 5. Sul problema della classificazione cfr. Massimo Maietti, Semiotica dei videogiochi, Milano, Edizioni Unicopli, 2004, pp.30-38
  6. 6. Cfr. J.C. Herz, Joystick Nation, London, Abacus, 1997 (tr. It. di Luca Piercecchi, Il Popolo del Joystick, Milano, Feltrinelli, 1998,  p. 12); vedi anche Francesco Carlà, Space Invaders la vera storia dei videogames, Roma, Castelvecchi, 1996, p. 13
  7. 7. Tale schematizzazione è stata proposta da Cristiano Poian, dottorando presso il DAMS dell'Università degli Studi di Udine, nel suo intervento alla conferenza Games@IULM  tenutasi presso l’Univesrità IULM di Milano in data 3 maggio 2006. È possibile reperire le slide dell’intervento all’indirizzo http://www.videoludica.com/graphic/dynamic/news/pdf/245.pdf
  8. 8. La simiotica è una “declinazione della semiotica che serva a spiegare il funzionamento dei sistemi simulativi”. Cristiano Poian, op. cit.
  9. 9. Cfr. Henry Jenkins, “Games, the New Lively Art” in AA.VV., Handbook of Computer Game Studies, a cura di  Joost Raessens e Jeffrey Goldstein, Cambridge, MIT Press, 2005